La nuova normativa regionale ligure

Continuando nel mio ruolo di suggeritore, presento un altro argomento su cui si potrebbe aprire una discussione.

Come molti sanno, la Regione Liguria sta rinnovando la sua normativa in materia di cultura, e quindi anche di biblioteche.

Nel 2006 è stata approvata la Legge regionale n. 33 (Testo unico in materia di cultura), mentre nel 2007 è stato approvato, ai sensi di questa legge, il Piano triennale 2008-2010 di valorizzazione culturale, mentre devono ancora essere approvati due degli atti programmatori previsti dalla Legge 33, cioè le modalità e procedure di concessione di contributi e il piano annuale.

Qualcuno quindi potrebbe aver voglia di fare commenti in merito, e non solo i bibliotecari ma anche i lettori: che cosa si aspettano gli utenti delle biblioteche da un rinnovamento della normativa?

7 Risposte

  1. Vorrei evidenziare – pur non avendo una formazione giuridica – alcuni aspetti generali della normativa sulle biblioteche Pubbliche.

    Le norme regionali dell’Emilia-Romagna (2003) e della Liguria (2008) sono innovative rispetto a regolamenti e prassi ancora oggi più diffuse, ma sono quasi retoriche o ridondanti rispetto agli aspetti fondamentali della normativa sulle biblioteche Pubbliche in vigore degli anni ’70. Non per questo sono inutili: tutt’altro. La norma è stata utilizzata come “fattore” di cambiamento organizzativo. L’indugiare in “dettagli” che qualsiasi funzionario pubblico dovrebbe in realtà già conoscere ed essere in grado di desumere dalla normativa generale assume proprio il significato di segnalare all’operatore il distacco della Regione dalle interpretazioni più restrittive, tradizionalmente tanto care ai bibliotecari.

    Mi riferisco in primo luogo ai criteri di accesso, già introdotti da Beppe in altro ‘post’:

    Fruizione negata anche in Liguria?

    Limitiamoci per brevità alle biblioteche del settore Cultura, ed è irrilevante a quale ente appartengano, ma si potrebbe estendere una parte dell’analisi a quelle di altre Amministrazioni come a quelle private che ricevono fondi pubblici.
    La biblioteca non è affatto il “regno” del bibliotecario: deve essere gestita applicando la Legge. Il bibliotecario deve (dovrebbe) gestire la biblioteca contemperando due finalità di interesse generale: la custodia dei libri e l’acccesso a quei libri da parte dei cittadini e delle persone in genere (includo gli stranieri). Quindi, qualsiasi “regola” che limiti i servizi per la lettura sarà fondata solo se derivante dalla prima esigenza, di garantire la custodia e – nel caso delle “biblioteche storiche”, o meglio, del libro /bene culturale – la “tutela” del libro.
    Se queste sono le finalità “di Legge, non è quindi possibile che un bibliotecario ponga – direttamente o indirettamente – come limite per l’accesso ad una biblioteca Pubblica un’età maggiore dei 18 anni.
    A 18 anni tutti abbiamo la “capacità di agire”, di esprimere la propria volontà autonomamente, che non può essere quindi condizionata da quella del bibliotecario Pubblico, tanto meno da quella di un terzo (privato o organo di un’altra amministrazione che non ha alcuna competenza sulle biblioteche).
    Mi riferisco alla prassi o ai regolamenti “contra legem”, nelle biblioteche “storiche”, di condizionare l’accesso a qualifiche e titoli che di fatto presuppongono un’età superiore (“studioso”, “ricercatore”, “professore”), o la richiesta di “procurarsi” “una lettera di presentazione” da parte di qualche soggetto che abbia tali qualifiche.
    La “capacità di agire” si acquista per Legge (Codice Civile, Libro I, art. 2); eventuli deroghe sono possibili solo con un atto con la stessa “forza giuridica”, con un altra Legge: il regolamento della biblioteca è invece un atto amministrativo, per cui nessun bibliotecario “ha potere” su questo argomento:

    Art. 4 Limiti della disciplina regolamentari
    I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi.
    (Codice civile – – Preleggi – CAPO I Delle fonti del diritto).

    Quel che può e deve fare un regolamento interno è estendere un diritto ad altri soggetti (ai minorenni, ad esempio laddove esistono “sale per ragazzi”) e regolamentare l’organizzazione dei servizi (non certo i diritti degli utenti) per garantire – oltre alla fruizione – la custodia dei libri (ad esempio, compilare e firmare i moduli di richiesta dei libri, ecc).
    In questo senso va interpretata anche l’espressione “ciascuna biblioteca stabilisce, sulla base delle proprie esigenze, le modalità di accesso degli utenti”, richiamata da Beppe nel caso specifico del DPR relativo alle biblioteche pubbliche statali.

  2. Un altro esempio che conferma la generalità del concetto di biblioteca Pubblica – contrariamente alla frammentazione tipologie biblioteche/utenti/”regole”, teorizzata dalla biblioteconomia applicata dai bibliotecari – è l’orario.

    La direttiva della Liguria del 2008 stabilisce:

    “Quarta tematica: Rapporti con il pubblico
    A. Orario di apertura.
    L’orario di apertura della biblioteca è strettamente collegato alla programmazione del servizio e al raggiungimento delle finalità e degli obiettivi prefissati. L’adeguatezza del numero delle ore di apertura agli utenti e la relativa predisposizione dell’orario giornaliero e settimanale, deve essere tarato sulla base dell’analisi e delle esigenze del territorio di riferimento, tenendo conto del bacino d’utenza interessato, delle fasce d’età, dei percorsi scolastici e dell’attività economico-produttiva. La preventiva verifica di tempi e modi delle esigenze informative del bacino d’utenza deve presiedere alla stesura dell’orario di apertura in modo che la sua pianificazione sia strutturata sulle fasce di orario che meglio garantiscano e facilitino ad ogni categoria di utente individuata e a quella potenziale, l’utilizzo di tutti i servizi erogati. Sulla base di tale analisi vengono fissati anche gli eventuali cambiamenti stagionali dell’orario di apertura della biblioteca.” (pag. 686).

    Anche qui, il concetto appare “rivoluzionario” rispetto alla realtà bibliotecaria italiana: soprattutto le piccole biblioteche storiche o “di conservazione”, è facile che siano aperte solo qualche ora al giorno, la mattina e chiuse di sabato e domenica.

    Si potrebbe pensare: sono biblioteche dedicate alla “conservazione”, che non hanno oblighi di servizio come quelle a cui si riferisce la Regione Liguria, sono biblioteche in qualche modo “autonome” o – come amano dire i bibliotecari “conservatori” – biblioteche con funzioni “particolari”, “speciali”.

    Invece, anche qui la normativa regionale vuole sottolineare un ritardo del settore nella applicazione dei principi generali: non solo tutte le biblioteche Pubbliche, ma tutti i Servizi pubblici sono tenuti a conformare gli orari alle esigenze dei cittadini, i “clienti” che “pagano” i loro stipendi:

    “Dlgs 165/2001 Norme generali sulle Amministrazioni Pubbliche
    art. 2.1. Le amministrazioni pubbliche… ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:
    e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell’utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell’Unione europea.”
    IN:
    http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/01165dl.htm

    I bibliotecari spesso collegano queste limitazioni, questo disservizio, alla scarsità del personale. Nel documento ligure si afferma:

    “Terza tematica: Personale.
    La responsabilità delle biblioteche deve essere affidata a bibliotecari…
    I Comuni e gli altri enti titolari di biblioteche individuano nel proprio organico la figura professionale del bibliotecario, in numero congruo…” (pag. 686).

    Ma quali bibliotecari? e cosa vuol dire “congruo”?

    Chi frequenta le biblioteche ha spesso il dubbio che, prima di pretendere risorse aggiuntive, i bibliotecari dovrebbero dimostrare di saper spendere al meglio quelle esistenti, o almeno di essere in grado di non “sprecarle”. In un periodo in cui tutto il settore Pubblico è messo in discussione, in cui maggioranza ed opposizione del Paese si presentano alle elezioni promettendo la soppressione, o forti riduzioni, di Province, Comunità montane, e altri “enti inutili”, i bibliotecari Pubblici dovrebbero essere i primi a proporre di razionalizzare l’esistente recuperando risorse.

    Un esempio, tornando agli orari, alla luce dei criteri esemplari posti dalla normativa ligure. Le biblioteche più grandi restano aperte la mattina ed il pomeriggio, fino a le 19 – 19,30 circa (poche “comunali” e di “facoltà” fino alle 22). Le decine e decine di piccole sedi storiche statali o “civiche” di enti locali solo la mattina. Si dice: manca il personale per prolungare gli orari. Ma allora, perché non si sono intanto concentrate le risoorse sulle fasce orarie più addatte al maggior numero di utenti? perchè anzichè dalle 9 alle 13 non restano aperte dalle 15,30 alle 19,30?

    E’ da irresponsabili ipotizzare che in attesa di nuove risorse (per qualche ignoto motivo ritenute “dovute”, qualsiasi sia il servizio offerto) la biblioteca debba restare aperta solo per accogliere i bibliotecari!

    Ma probabilmente nemmeno “spostando le ore” nelle fasce orarie a maggior domanda le micro biblioteche storiche (da 15-25 posti di lettura) avrebbero senso in termini di servizi e di costi sostenibili. Qualcuno – come già qualche utente-filologo degli anni ’30 – dovrebbe domandarsi se non sia il caso di spostare le loro raccolte nelle maggiori ed unire il personale per permettere, “unendo le forze”, turni di aperture che coprano fasce orarie maggiori (fino a quelle serali), servizi bibliografici migliori ed economie di scala nei costi fissi (dai direttori, alle spese di luce e riscaldamento, al materiale di consultazione e di supporto delle ricerche da tenere continuamente aggiornato in tutte le sedi, ecc. ecc).

    Quindi, tornando alle domande qui sopra, sarebbe auspicabile che le biblioteche fossero affidate a QUEI bibliotecari che abbiano dimostrato di saper offrire servizi decenti con le risorse date (perché i servizi di una biblioteca “di conservazione” non possono essere diretti da un bibliotecario sensibile ai servizi al pubblico proveniente da una biblioteca “aperta al pubblico”, lasciando al bibliotecario “conservatore” le funzioni interne più specialistiche, di “tutela” fisica del materiale? E’ la Legge o la “teoria delle tipologie di biblioteche” che lo vieta?).
    E ancora, sarebbe auspicabile che il numero “congruo” di bibliotecari non sia “un miraggio” utile a differire la soluzioni dei problemi, ma un numero non molto distante da quello realisticamente possibile, mentre si inventasse qualcosa di nuovo per cambiare sostanzialmente l’offerta esistente, dimostrando che investire in Biblioteche Pubbliche “conviene”!

    ^^^^^

    (Diego Maltese, La biblioteca come linguaggio e come sistema, Milano, Bibliografica, 1985, p. 154)

    “Biblioteche speciali o biblioteconomia speciale? La discriminante della specializzazione non ha grande rilevanza per una classificazione delle biblioteche… Qualsiasi biblioteca che abbia un po’ di storia si caratterizza per le sue specializzazioni… Perché il punto è questo: date certe specializzazioni come deve lavorare una biblioteca perché lo studioso il ricercatore, o anche semplicemente il lettore curioso sappia riconoscerle, conoscerle e sfruttarle?”.

  3. Non sono sicuro che dal punto di vista strettamente giuridico dalla maggiore età consegua direttamente il diritto ad usufruire di qualsiasi servizio delle biblioteche, anche se questo è certamente corretto dal punto di vista della politica bibliotecaria. Bisogna dire però che ci sono servizi pubblici che legittimamente selezionano l’utenza: per esempio, gli ospedali ricoverano solo chi è malato, e non chiunque lo chieda anche se è sano.

    Nel caso delle biblioteche pubbliche statali comunque mi sembra evidente che il regolamento specifico della biblioteca non può limitare quei diritti che sono espressamente stabiliti del regolamento organico, ma semmai li può solo estendere ulteriormente, come ha confermato anche Oriana.

  4. Sull’ultimo commento di Dino.

    La distinzione tra bibliotecario sensibile ai servizi e bibliotecario conservatore non è codificata da nessuna norma, ed è solo il risultato di una mentalità errata di alcuni bibliotecari. Al massimo, si potrebbe parlare di bibliotecario esperto di conservazione, nel senso di uno che conosce molto bene le tecniche di conservazione idonee per tutti i tipi di materiali, è in grado di stendere il capitolato di una gara d’appalto per restauri e altre cose del genere.

    Quanto alla razionalizzazione, la concentrazione dei punti di servizio, cioè accorpare biblioteche piccole in biblioteche più grandi, andrebbe bene per quei pochi studiosi che possono permettersi di andare senza problemi nelle località in cui ci sono biblioteche grandi e passarci le giornate, ma sarebbe un disastro per coloro che non hanno questa possibilità, anche solo per i loro impengi o per la zona in cui abitano (basti pensare ai tanti paesini dell’entroterra ligure, i cui cittadini hanno gli stessi diritti di quelli di Genova o Savona di godere di un servizio bibliotecario qualificato).

    La soluzione corretta invece è un’altra: estendere i punti di servizio e il document delivery, ma centralizzare la gestione, in modo da avere personale qualificato che fa servizio per una molteplicità di biblioteche. In Liguria ci sono alcuni ottimi esempi di sistemi bibliotecari organizzati in questo modo, per esempio quelli della Comunità Montana Alta Valbomrmida, della Comunità Montana Ingauna, della Valle Varatella e ora quello del Finalese, di recente costituzione.

    L’alternativa però solo in alcuni casi è lo spreco, con duplicazioni di servizi, strutture e direttori. Più spesso invece è che il servizio non si fa proprio (oppure nasce, e poi sparisce), come si vede in diverse zone della Liguria in cui non ci sono sistemi bibliotecari, ad esempio l’entroterra della Provincia di Imperia o la zona di Sassello e del Giovo.

    Quanto agli orari, non è esatto che tutte le piccole biblioteche civiche siano aperte solo al mattino: molte alternano mattino e pomeriggio, o sono aperte prevalentemente al pomeriggio (alcune fanno anche almeno mezza giornata al sabato).

  5. Secondo me per cogliere le possibili analogie tra un servizio culturale ed altri, come un ospedale, occorre prima chiarire le differenze di fondo. La maggiore età, per esmpio, è irrilevante nell’ospedale, perché si rivolge alle persone “malate”: le finalità Pubbliche dei due servizi sono diverse.

    Non conosco la normativa specifica per cui, per praticità, fermiamoci alla Costituzione:
    http://www.quirinale.it/costituzione/costituzione.htm

    Per l’art. 32, “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
    Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

    Allora, escludere chi è sano, secondo l’analogia proposta da Beppe, corrisponde ad escludere dalle biblioteche chi vuole utilizzarle per chiacchierare, telefonare, ascoltare musica, ecc., o per svolgere una qualsiasi attività lecita, in generale, ma che non corrisponde alle finalità della lettura.

    Per mantenere l’analogia, invece, direi che la situazione di fatto nelle biblioteche “di conservazione” italiane corrisponderebbe a un ospedale che, dichiarandosi altamente specializzato ed in possesso di apparecchiature estremamente costose, si riservasse il diritto di “selezionare i malati ammessi alle cure”, dove quella selezione non è basata sulle caratteristiche della patologia dei cittadini-pazienti (alla quale potrebbe corrispondere lo “stato di conservazione” del libro), ma sulle loro qualità socio- culturali:

    “Perchè utilizzare, rischiare inutilmente di rompere e “consumare” uno strumento di diagnosi altamente “specalizzato” per una persona qualsiasi? e se in quel momento arrivasse un’ambulanza con un cittadino con una più alta “speranza di vita”, più sano o più giovane, oppure un personaggio più “eccellente”, o un contribuente che paghi più imposte e tasse del primo, insomma una persona “migliore” per un qualsiasi altro criterio stabilito dal medico (per il bibliotecario, più “studioso”), questo non troverebbe “posto” e sarebbe costretto a rinviare l’analisi (la ricerca) o a rivolgersi ad altra struttura… Quindi noi “tecnici” – proprio perché siamo “professionisti” e depositari della materia specifica – abbiamo il dovere/ diritto si selezionare gli utenti in base ai nostri “criteri professionali”, e se la Legge non contiene questi criteri, è una legge sbagliata che noi tutti decidiamo di non applicare [ossia di violare!] in attesa di una “legge quadro”, che da decenni la nostra associazione richiede al legislatore, e che finalmente riconosca le “specificità” del “nostro” settore”.

    Così ragionerebbe un medico “conservatore”.

    Ma così facendo il medico violerebbe (probabilmente una decine di norme penali, amministrative, civili, espressione de) l’art. 3 della Costituzione:

    “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”

    Questo di fatto nella Sanità non avviene. Non solo perché i medici hanno una cultura professionale diversa dai “bibliotecari conservatori”, ma perché qualora avvennisse quel medico sarebbe subito, non dico spostato in un ufficio interno, ma licenziato. Con grande scandalo sulla stampa che probabilmente coinvolgerebbe qualche suo “superiore” (nel caso specifico del Mincultura dovrebbe sicuramente essere destinato ad altro incarico il vertice della Direzione Generale Beni Librari, che nomina i direttori, vigila sul loro operato ed approva i regolamenti interni proposti dai direttori di biblioteca).
    Invece e addirittura sia nel ministero che nell’associazione di categoria, l’AIB, i bibliotecari “conservatori” (intesi qui come coloro che agiscono tutti i giorni “contra legem”, i “selezionatori di cittadini”, e non intesi come esperti di appalti per i restauri) occupano posizioni più “prestigiose” o influenti che non i bibliotecari delle biblioteche “aperte al pubblico” (quelli che operano nella legalità e indicavo come “sensibili al Servizio”).

    Se un medico contempera l’art. 3 con il 32, l’operatore culturale, il bibliotecario “conservatore” dovrebbe riferire il 3 all’art. 9:

    “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.”

    A questo punto, se il suo compito ultimo è (custodire a regola d’arte i beni culturali, compreso la loro catalogazione, ecc per) “promuovere la cultura”, più persone “raggiunge” con quel servizio e meglio sta lavaorando. Egli non ha nessuno appiglio lecito per condizionare o “selezionare” i cittadini che si dichiarino interessati al libro/bene culturale (oltre a non avere proprio competenza in tema di diritti in quanto questi trovano la loro fonte e disciplina nelle Leggi mentre il funzionario amministrativo, il bibliotecario, non è investito del potere legislativo…).

    Riprendendo l’analogia direi anzi che insinuare nell’utente, cercare di convincere, o “obbligare” di fatto il cittadino (perchè gli si vieta l’accesso) ad utilizzare una biblioteca “meno importante”, ritenuta “più adatta” – secondo l’arbitrio del bibliotecario – alle proprie caratteristiche culturali, al proprio percorso di studi, corrisponderebbe ad imporre un trattamento culturale (sanitario) obbligatorio. Questo (come per le vaccinazioni obbligatorie) di fatto nel settore cultura è possibile solo se ci comprendiamo l’istruzione che a rigore ha altre fonti: l’obbligo, possibile per i MINORENNI, di frequentare la scuola fino alle medie.
    L’estensione mi serve per ribadire che anche in quel caso ciò può avvenire solo perché previsto “per disposizione di legge”, che a sua volta anch’essa non è una fonte arbitraria, illimitata, perchè:
    “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

    Sarà quindi opportuno che i Manuali italiani di biblioteconomia vengano tutti riscritti, sulla base non più dalle certezze – ossia dai pregiudizi – “professionali”, ma della natura Pubblica delle Biblioteche e del Libro-Bene Culturale, e nel frattempo sarebbe auspicabile che le “biblioteche storiche” fossero commissariate, tolte ai bibliotecari “conservatori” ed affidate ad altro personale del settore cultura, dove non esista la vergogna (anche se non fa scandalo) della “selezione” dei cittadini per stabilire l’accesso ad un “istituto o luogo della cultura”.

  6. Credo che i passaggi più stridenti di questo estratto rappresentino bene quale sia ancora oggi la “sottocultura”, la “legge” applicata dai bibliotecari “conservatori”, e ci aiuta a comprendere le assurde logiche e finalità che hanno perseguito i bibliotecari estensori dei regolamenti interni vigenti nelle attuali misere biblioteche “riservate”.
    Una volta compresa la “pericolosità sociale” di questa sottocultura, la domanda è immediata:
    Come sbarazzarsi di loro??!?

    “PER UNA LEGGE SULLE BIBLIOTECHE
    Memoria letta nella VII Riunione della Società Bibliografica italiana in Milano, 31 maggio-3 giugno 1906”

    “..È stato osservato che il più singolare e beffardo destino incombe malauguroso sulle nostre biblioteche, e che non appena apparisca un ministro il quale voglia ad esse rivolgere le sue cure, accade qualche catastrofe, qualche cataclisma tellurico o ministeriale, onde le buone intenzioni rimangono a selciare i lastrici dell’Inferno, e le cose nostre restano nella miserevole condizione di prima…
    La scuola non è la palestra libera e serena dove si esercitano gl’ingegni, dove si coltivano gli studî e la dottrina; essa è la fabbrica dei candidati agli esami, degli aspiranti a quello straccio di licenza che deve liberarli dal peso delle discipline moleste, da quella noia che sono i classici, da quel fastidio che sono la scienza e la poesia. La scuola, dopo che fu ridotta una fabbrica d’indulgenze, ha perduto ogni idealità, ogni moralità; ed è inutile ricerca quella di mutare programmi e ordinamenti, quella di discutere sul sette o sull’otto, sulla biforcazione o sull’attenuamento del classicismo, quasi questo fosse un virus malefico; la scuola andrà sempre più decadendo finchè non le si ridoni l’unica condizione di vita necessaria ad ogni organismo, la libertà; finchè si vorrà costringerla a ricevere nel suo seno quelli che agli studî non son chiamati, finchè ci ostineremo a convogliarvi con un processo coercitivo quanti debbono uscirne laureati sol perchè vi entrarono analfabeti. La scuola non sarà degna del proprio nome, finchè non abbia scritto sulla sua porta che vi entra soltanto chi è dignus intrare, e non avrà abolito il motto presente promoveatur ut amoveatur…
    E quegli infelici insegnanti debbono su cotesto terreno seminare i fiori del classicismo e della coltura, e parlare di Roma, della sua storia, della sua letteratura, della sua arte, a dei pastorelli che non sono nemmeno scesi al capoluogo della provincia, e pei quali Roma capitale rimarrà sempre un mito, più di Roma dei Cesari, se la coscrizione e la leva non ce li porti a levarsi di dosso quelle rozze scaglie native. Ora credete voi, che possa la scuola, non dico fiorire e dar buoni frutti, ma non intristire in cotesto terreno? E anzi tutto, si può chiamare scuola cotesta? E con istruzione ed educazione siffatta, bandita da giovani sfiduciati che veggono svanire ogni più modesta speranza, si può sul serio credere di provvedere alle sorti future della nazione? Ma, direte, coteste sono eccezioni. Non così accade nei centri maggiori, in luoghi meno impervii, nelle città e nei paesi più popolosi. Illusioni, illusioni!…

    Quando, dopo l’incendio che il 26 gennaio 1904 s’apprese alla Biblioteca Nazionale di Torino, la pubblica attenzione fu momentaneamente richiamata ai pericoli ond’erano minacciati i nostri istituti, il ministro Orlando fu sollecito a presentare una legge che provvedesse alle necessità più urgenti. In quella occasione un illustre e provetto parlamentare, l’on. Paolo Boselli, dettò una relazione piena di utili ammonimenti, in cui dal fatto particolare assorgendo a considerazioni e disamine d’indole generale, dimostrava l’opportunità di una classificazione delle nostre biblioteche, la quale assegni alle governative il vero còmpito loro, destinando contemporaneamente biblioteche speciali e diverse ai bisogni della scuola e della coltura. In cotesta relazione, che meriterebbe esser più nota perchè è una pagina importantissima per la storia delle biblioteche italiane, l’on. Boselli scriveva: «È mestieri separare le biblioteche che provvedono alla istruzione ed educazione popolare, vale a dire alla coltura generale, da quelle istituite a provvedere alla coltura letteraria e scientifica speciale. Sono due fini che richiedono suppellettili, metodi d’ordinamento e di servizio l’uno dall’altro ben differenti…
    È d’uopo ricordare che l’istruzione e l’educazione pubblica non consiste unicamente nella scuola. La legge Casati, da chi apre una scuola pretende giustamente certe garanzie di moralità e di abilità didattica. Se è vero che il libro è lo strumento dell’istruzione, se è da tutti riconosciuto esser il libro lo strumento o l’arme di cui la scuola insegna l’uso e i vantaggi, non deve cotesto strumento e cotest’arme esser affidata a mani inesperte. L’on. Turati, in un recente discorso tenuto a Milano per celebrare il terzo anniversario delle biblioteche popolari milanesi, disse che la diffusione della coltura nel popolo è la propaganda più rivoluzionaria e nello stesso tempo la più conservatrice, perchè «vôlta ad elevare una massa che non sa leggere o legge male, che dispone spesso soltanto di una mezza coltura, la quale la rende così partigiana e settaria e dogmatica da mettere a repentaglio la democrazia e da rendere il socialismo una delusione e un’utopia». È necessario dunque che cotesti strumenti di progresso siano adoperati a scopo educativo, scelti con amorevole cura, somministrati con savia preveggenza. È necessario che la scuola trovi nella biblioteca il suo ausilio, la sua continuazione, la sua integrazione, e che perciò i maestri, gl’insegnanti siano fatti esperti dei metodi e delle norme onde i libri si scelgono, si classificano, si catalogano, estraendone quasi il succo, per modo da renderli profittevoli per la ricerca immediata e per un più meditato studio, da consigliarli e suggerirli agli alunni desiderosi di acquistare nuove cognizioni sopra un dato soggetto…
    Ma tornando alla legge e alla riforma invocata, converrebbe che essa ponesse nuovi fondamenti a questa istituzione delle pubbliche biblioteche, alle quali non vorrei fosse dato il solo titolo di popolari. La public library d’Inghilterra e d’America non ha nulla che vedere con queste ibride biblioteche popolari da noi vagheggiate. Essa deve servire a tutti, alla coltura generale, così dell’operaio, come della madre di famiglia, come del professionista. Dev’essere una biblioteca di coltura, non di abbassamento intellettuale; non deve disdegnare nè la politica, nè la letteratura romanzesca, nè quella tecnica e speciale. Soltanto coteste opere devono essere accessibili a tutti e di facile intelligenza, come ad esempio i Manuali Hoepli. Così il livello intellettuale del popolo si innalzerà, e la biblioteca in ogni centro abitato sarà un focolare d’istruzione e di educazione a tutti gradito; non un’accolta di libri o stupidi, o sciatti, come quelli che si mettono ora insieme per utile e diletto del popolo…
    Guido Biagi.”

    IN:
    http://www.aib.it/aib/stor/testi/biagi1.htm

    PS: I bibliotecari dovrebbero riflettere che da allora molte cose sono cambiate e non sono più adatte o applicabili alla società di oggi… Per restare sulla normativa, non è banale, qui, sottolineare che all’epoca non vigeva l’attuale Costituzione (“Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”) ma – se non confondo qualche data – Lo Statuto Albertino:

    “per la grazia di Dio…

    DEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI CITTADINI

    Art. 24. – Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, SALVE LE ECCEZIONI determinate dalle Leggi.”

    IN:
    http://www.quirinale.it/costituzione/Preunitarie-testi.htm

  7. Segnalo T.U. 2010 della Regione Toscana:

    Legge regionale 25 febbraio 2010, n. 21,
    QUI:
    http://www.regione.toscana.it/regione/export/RT/sito-RT/Contenuti/sezioni/cultura/visualizza_asset.html_1404420186.html

    Noto che assomiglia alla normativa della Regione Liguria nei “Diritti del pubblico”, all’ Art. 11, comma 5, (p. 6):

    5. La consultazione dei documenti delle biblioteche e degli archivi nonché il prestito dei documenti in loro possesso sono gratuiti e non possono essere limitati se non per i motivi previsti dalla legge, per esigenze di tutela e conservazione o per motivate esigenze organizzative indicate nella carta dei servizi che ogni
    istituto documentario è tenuto ad adottare.”

    Mentre se ne discosta per una definizione “estensiva” di biblioteca (p. 3) all’Art. 1, comma 2, lettera d):

    “2. Gli interventi della Regione negli specifici settori
    perseguono i seguenti obiettivi: …. …. d) sviluppo dei servizi offerti dalla rete documentaria, composta da biblioteche, archivi ed altri istituti documentari, e
    della loro fruizione da parte dei cittadini, promuovendo
    l’innovazione degli spazi, dei linguaggi e delle tecnologie, in coerenza con i diversi bisogni di informazione, formazione e impiego del tempo libero dei cittadini;”

    L’innovazione dei “linguaggi” sarà sicuramente vissuta, secondo me, come una ghiotta occasione per far passare per “bibliotecaria” qualsiasi attività venga in mente di fare “tra le pareti” di una biblioteca toscana, anche quelle per niente attinente ai servizi collegati al libro ed alla lettura (e ripenso alla costosa “filosofia” dei due nuovi piani della “biblioteca-videoteca-ludoteca-centro sociale” delle Oblate di Firenze, che non hanno portato né 1 tavolo né 1 ora in più per la lettura dei libri posseduti).

    Più in generale, ad una prima lettura, noto che ci siano pochi – troppo pochi – riferimenti agli orari di apertura minima, alle dimensioni minime al di sotto delle quali “una stanza” non può definirsi più biblioteca ma è solo un inutile centro di costo. Che mai o quasi la parola libro o biblioteca o raccolte sono affiancate dalla parola “valorizzazione” o “promozione”.
    D’altra parte mi crea un “sospetto” l’uso molto frequente di termini “astratti” (pericolosi “buchi neri” dove saranno attratti inutilmente e “scompariranno” enormi risorse pubbliche??), come “sistema documentario” e “rete documentaria locale” (es. Art. 28).

    Insomma, ho il forte dubbio che la frontiera che i bibliotecari italiani devono ancora sperimentare non è tanto quella di attività e “linguaggi” diversi dal libro e dalla lettura (quindi l’emarginazione di fatto della Biblioteca, delle sue raccolte, della “memoria scritta”), quanto quella di riuscire a predisporre la Biblioteca “tradizionale” per qualsiasi potenzialità di (re-)”invenzione della lettura”, per qualunque possibile “nomade che pratica il bracconaggio tra pagine non sue” ; come ha scritto Michel de Certeau,
    QUI:
    http://libroinbiblioteca.blogspot.com/2010/05/leggere-una-caccia-di-frodo.html

    Ma forse sono rimasto indietro io e questo aggiornatissimo T.U. rappresenta la frontiera de la biblioteca.
    Allora, quali altre sostanziali analogie e differenze vi sono tra la normativa Toscana e quella Ligure? Cosa potrebbe “copiare” la Regione Liguria dalla recente normativa della Regione Toscana?

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