Soggettare i libri antichi?

Spesso si dicute se i libri antichi si debbano o no soggettare e classificare come quelli moderni.

Per esempio, io ho sempre sostenuto che questo si debba fare, mentre Oriana (se non ha cambiato idea ultimamente) è sempre stata del parere contrario.

Ma qui, oltre a discuterne tra bibliotecari, sarebbe interessante sentire il parere dei lettori: quelli che fanno ricerche sui libri antichi sentono la mancanza di soggetti e classificazioni? E quelli che fanno ricerche per soggetto, gradirebbero trovare anche molti libri antichi tra i risultati?

21 Risposte

  1. Beppe ama le provocazioni e siccome sono un’attacca brighe, raccolgo e rilancio: useresti il “Nuovo soggettario”?
    Convincimi con qualche esempio. Del resto esistono le edizioni moderne di opere antiche …

  2. Su questo tema vorrei dire qualcosa, se non è già stato superato da “l’uso improprio di libri” (espressione “infelice” se utilizzato nel tema della fruizione negata…) e dalle mimose. Sono parzialmente d’accordo con Oriana, ma per altri motivi.

    Non posso parlare per chi fa tutti i giorni ricerche storiche ma dirti le difficoltà di un’utente “formatosi” nelle sezioni contemporanee ad esplorare l’antico (e se cerchi un argomento preciso ben presto rinunci perché non trovi nulla o non riesci ad essere selettivo).

    I cataloghi antichi non hanno il campo Soggetto né quello della Descrizione della Classe.
    Per avventurarsi su un certo argomento senza conoscerne preventivamente gli autori principali una “strategia di ricerca” possibile è utilizzare parole chiave nel campo titolo.
    Ma dato che nei secoli il linguaggio è cambiato molto, ad un certo punto non si trova un granché!
    Ad esempio. Se si è interessati a notizie sull’alimentazione e sul commercio al dettaglio della carne nel tempo, utilizzando la parola “macellaio” dal catalogo antico non uscirà nemmeno un’opera. Occorre che qualcuno ti suggerisca la parola “beccaio”.

    Comunque se ti accontenti di opere del ‘900, ricerche nel campo della Descrizione della Classe e del Soggetto aiutano a definire meglio l’argomento ed a conoscere altre parole chiave per ottenere risultati selettivi anche nel campo Titolo (che è più ampio ma dispersivo).

    Non saprei definire bene cosa sia un Soggetto, nemmeno rispetto alla Descrizione della Classe, ma io l’ho trovato scomodo e poco affidabile perché le convenzioni utilizzate per costruirlo sono cambiate nel tempo (mi sembra di ricordare tre sezioni di schede di Cataloghi a Soggetto: dal 1925, dopo il 1950, dopo il 1983 (il “Nuovo non lo conosco affatto).

    Un esempio, ipotizzando di utilizzare il campo Soggetto nel Catalogo elettronico. Una ricerca storica sulle “Banche” fornisce testi che al massimo del 1980: nessuno prima ha scritto qualcosa sulle banche? No, il problema è che prima il soggettario utilizzava la parola “Aziende di servizi”. E io come faccio a scoprirlo? Devo seguire un Corso di Storia dei cataloghi???

    Secondo me sarebbe comodissimo un Dizionario storico dei sinonimi per avere il sinonimo “antico” dei termini che utilizziamo oggi come parole chiave degli argomenti di ricerca (magari in rete, in modo da poter utilizzare il copia incolla dal Dizionario al Catalogo storico).

    Non saprei se esiste già qualcosa di simile cartaceo e quanto poco sia diffuso.
    Mi sembra che il Vocabolario storico Italiano ‘online’ del CNR richieda, invece, la preventiva conoscenza del termine antico: come se il lettore avesse già trovato il libro di suo interesse e dovesse capirne il testo:

    http://www.vocabolario.org/

    Forse qualcuno potrebbe suggerire al CNR di inserire anche la chiave di ricerca inversa, dal linguaggio corrente a quello antico?

    Saluti,
    Dino
    dinosimone@virgilio.it

  3. Non capisco la frase di Dino “Sono parzialmente d’accordo con Oriana, ma per altri motivi”. I motivi da te evidenziati sono esattamente quelli che da anni dividono me e Beppe.
    Soggettare è operazione molto delicata e legata al contesto linguistico e culturale del momento in qui viene fatta. Non a caso, come hai espresso molto bene, i soggettari si evolvono e i termini per definire il contenuto di libri che un utente considera simili, ma editi in tempi differenti, possono cambiare e di molto. Soggettazioni “postume” come quelle che Beppe vorrebbe fare su libri antichi sono ancora più complesse e rischiose. Thesauri di termini “antichi” si potrebbero tentare, ma anche su questi ho alcune perplessità. Considerando poi che la lingua prevalente delle edizioni, almeno sino a buona parte del 17 secolo, è stata il latino …
    Altro discorso è l’associazione dell’edizione ad una disciplina, cioè ad una o più materie o classi, ma anche per questa operazione occorrerebbero delle liste di materie ben controllate, che seguissero l’evoluzioni avvenute nei vari campi disciplinari nei vari secoli e che fossero rese trasparenti agli utenti nei vari opac … mi vien male!

  4. Quando parlo di soggettare (e classificare) i libri antichi intendo proprio soggettarli con gli stessi strumenti che si usano per quelli moderni.

    Il fatto che, ad esempio, con la Dewey si classifichi tranquillamente l’edizione moderna di un’opera antica fa capire che la cosa non è poi tanto impossibile, e questo è interessante perché la Dewey non è una generica attribuzione di materia, ma per ogni materia ha una articolata struttura di soggetti.

    Inoltre, se ci fosse questa incompatibilità tra il linguaggio contemporaneo e i contenuti espressi dai libri antichi, dovrebbe anche essere impossibile scrivere oggi un libro sulla cultura del ‘500 se non adottando il linguaggio e le idee dell’epoca!

    Infine, la catalogazione ha anche degli aspetti pragmatici, cioè si cerca di fare in modo che i cataloghi funzionino senza prima aver risolto tutti i problemi teorici linguistici, concettuali, epistemologici ecc. ecc. Da questo punto di vista, il criterio potrebbe essere questo: per quei contenuti che hanno un corrispondente nel linguaggio odierno, si adotta la relativa espressione, anche se le tesi espresse dall’opera antica possono essere diverse da quelle oggi ritenute valide. Per concetti per cui non si può trovare in nessun modo un corrispondente (ad esempio il famoso flogisto) si adotta l’espressione originale, eventualmente qualificata per evitare equivoci, per esempio:

    Xyz

  5. Ho letto questo interessante post e a tal proposito ricordo che la Biblioteca Comunale R. Spezioli di Fermo (Ap), all’interno di un progetto di catalogazione di cinquecentine, ha utilizzato una classificazione basata sul ‘Manuel du libraire’ di J. C. Brunet. La scelta ha suscitato a suo tempo reazioni diverse, anche nella lista AIB CUR. Per chi fosse interessato, è possibile fare una ricerca di edizioni del XVI secolo nell’opac locale: http://www.bibliosip.it/SebinaOpac/Opac

    Silvia

  6. E’ un’idea interessante, ma quando parlo di soggettare i libri antichi intendo soggettarli con le stesse tecniche che la biblioteca usa per quelli moderni.

  7. http://www.segnideltempo.it/ propone documenti di approfondimento riguardanti il mondo dell’arte: descrizioni di libri antichi, biografie di artisti e illustratori, consigli per la conservazione ed il restauro … E tante …. tante informazioni utili a coloro i quali, affascinati da questo mondo, intendono ad esso avvicinarsi diventando magari
    anche collezionisti. Assolutamente FREE

  8. Buongiorno a tutti.
    posso parzialmente entrare nella questione sollevata, occupandomi di libri non “tecnicamente” antichi, ma solo “storici” se vogliamo chiamarli cosi’. Mi riferisco a libri scientifici della seconda metà del XIX secolo. Ebbene, ho ritenuto opportuno soggettarli e classificarli ugualmente con gli strumenti di indicizzazione moderni, rendendomi pero’ conto della difficoltà legata alla evoluzione delle discipline e della terminologia. Non sempre esiste una corrispondenza tra concetti e termini (banalmente, in zoologia alcuni nomi scientifici sono spariti o del tutto cambiati!).
    Insomma, per riassumere, sono favorevole ad una catalogazione semantica anche per il materiale antico, ma trovo che vadano approntati nuovi strumenti, in supporto o sostituzione di quelli “moderni”. Oppure sono problemi legati alla storia delle varie discipline e non alla tecnica di indicizzazione?
    Buona giornata!
    Anna

  9. Quello che proponevo io in un messaggo precedente, ma non si capiva bene perché erano sparite le parentesi uncinate non avendole inserite con la codifica html, era: usare il termine moderno quando c’è una equivalenza esatta o quasi, usare il termine antico qualificato quando non c’è una tale corrispondenza. Esempio:

    Animale_strano <zoologia del sec. 15.>

  10. ottimo, non avevo effettivamente pensato a questo tipo di qualificazione.
    Il problema, per rimanere ad es. alla zoologia, credo sia legato anche alla costruzione della relativa rete sindetica…
    Non sempre la classificazione e la rete delle relazioni si possono facilmente costruire con discipline desuete e concetti lontani nel tempo.
    L’esempio sui soggetti “animali” e’ significativo: la classificazione degli esseri viventi e’ mutata, per cui un animale che nel XIX secolo era inserito in una certa specie oggi puo’ collocarsi altrove o essere stato rinominato.
    La difficolta’ della soggettazione, di materiale antico come moderno,credo stia in questo.

  11. Come utente-non bibliotecario i termini professionali non mi spaventano, anzi mi incuriosiscono perché per me sono nuovi, ma così non riesco a seguirvi:

    cos’è una “rete sindetica delle relazioni”?

  12. chiedo scusa, non volevo essere troppo “professionale”!
    Una rete, ma meglio dire struttura, sindetica e’: “l’allestimento di una rete di relazioni fra vari indici” [M. Guerrini, Catalogazione, AIB, 1999]. E’ quella struttura che permette di “navigare” tra le varie voci di intestazione presenti nel catalogo, in questo caso tra i soggetti.
    Spero di aver interpretato bene le parole di Guerrini…
    Saluti!
    Anna

  13. Il problema della struttura sindetica in realtà si pone anche per soggettare i libri moderni che trattano della cultura e della scienza di epoche passate.

    Supponiamo di avere un libro di storia della scienza che parla del flogisto. Non si può certamente soggettarlo sotto Fuoco, perché sarebbe palesemente troppo generico e anche fuorviante. Si può certamente, a mio parere, introdurre il soggetto Flogisto, ma non inserirlo nella rete sindetica di termine come Fuoco o Calore in senso moderno.

    Più precisamente però direi che creano problemi le relazioni gerarchiche: una cosa come Calore RT Flogisto non dovrebbe dare fastidio a nessuno, ma un soggetto così non si può, in generale, considerate come termine più generico o più specifico di un termine moderno (può darsi che ci sia qualche eccezione).

    Questo è particolarmente evidente nel caso della zoologia: se la zoologia del ‘500 usava considerava come unica specie di mammiferi, con il suo nome, quelle che adesso sono considerate specie diverse di rettili, è ovvio che non si può considerare quel termine come più specifico né di Rettili né di Mammiferi.

    In questo caso penserei che l’unica soluzione sia rinunciare ai legami gerarchici, a meno che non possa creare una intera gerarchia di termini antichi, eventualmente qualificati per evitare confusioni.

  14. Leggendo Serrai – per altri motivi – mi sono reso conto che questa problematica, – da un punto di vista teorico, si riallaccia alla funzione di fondo della biblioteca: realizzare la valorizzazione delle collezioni possedute, fare in modo che non diventino dei “cimeli” del passato sconosciuti o dimenticati dai contemporanei.
    Visto che la discussione è tra tecnici ed è stato citato Guerrini, un autore che – per i soliti altri motivi – evito di leggere, vi propongo le parole di Serrai per dare a tutti, anche ai non tenici, il senso della complessità dell’argomento.

    “Resta in ogni caso aperto il problema di trovare alberghi bibliografici congrui per le opere del passato, stratificatesi in ere in cui i valori e le funzioni di verità erano radicalmente diversi da quelli presenti nel pur ampio ventaglio attuale: riabilitare i paradigmi originari, e quindi allestire tanti sistemi culturali quanti servirebbero ad ospitare la gamma delle antiche realtà cognitive, oppure costringere, di volta in volta, le testimonianze antiche nelle nicchie ideologiche correnti?…
    I patrimoni intellettuali di civiltà eterogenee sono strutturabili in forme comuni a patto di utilizzare non configurazioni messe a disposizione da uno dei sistemi, fosse anche il più recente, ma degli apparati interpretativi talmente potenti da essere capaci di attribuire a tutte ed a ciascuna delle civiltà, per quanto difformi, o addirittura reciprocamente contraddittorie, congrue e legittime funzioni agnitive.
    Questa è la strada che le elaborazioni bibliografiche dovranno imboccare, questo l’impegno che la Bibliografia non potrà non assumere se vorrà accingersi a costruire una mappa classificatoria universale: tale da accogliere, con la sostanza delle opere, anche gli edifici concettuali di un’ampia gamma culturale…
    Nella assenza di una tale struttura, di autentico ecumenismo cognitivo, non rimangono che gli abborracciamenti tipo “Internet”…
    Purtroppo, oggi, è la stessa concezione di una biblioteca elettronica a risultare inficiata da questa concezione: l’utente cerca ciò che sa o presume che ci sia, non ciò di cui ignora l’esistenza e che potrebbe tornargli immensamente utile…
    Se la Bibliografia non si assume il compito di sostenere tale ruolo, e non si applica a perfezionare le mansioni che ne derivano, si avrà un impoverimento del rapporto di conoscenza e di fruizione della letteratura; e indebolendosi il nesso fra le memorie esogene della specie e le memorie esistenziali degli individui … tenderà a nullificarsi l’esperienza storica.”

    (Alfredo Serrai, Flosculi Bibliographici, Bulzoni, Roma, 2001, pp. 96 – 98).

  15. Credo che quelle mie parole,opportunamente richiamate, non solo esprimano concetti e soprattutto aperture ancora valide, ma siano in grado di accogliere e legittimare il corretto atteggiamento anche nei confronti dei libri antichi e delle cosiddette biblioteche storiche, definizione che rappresenta un autentico mostro culturale.

  16. Sono assolutamente d’accordo con il fastidio, espresso da Serrai, per il concetto di ‘biblioteche storiche’, cosi’ come per quello (mio) di ‘bibliotecario conservatore’.

    Mi prendo la licenza di utilizzare, nel massimo rispetto per l’autore, frasi e concetti di Serrai per riportare la discussione su temi cari a Beppe e agli argomenti di questo blog.

    Stante la costante diminuzione di utenza fisicamente presente nelle biblioteche ‘storiche’ e no, e l’esponenziale aumento delle richieste da ‘remoto’ che ormai i bibliotecari sperimentano quotidianamente (‘abborracciamenti tipo “Internet”’?), non vi sembra necessario che gli strumenti bibliografici che viaggiano in rete (opac e quant’altro) affinino il loro linguaggio e il loro grado di trasparenza all’interno della rete?

    Se comprendo perfettamente che: “Purtroppo, oggi, è la stessa concezione di una biblioteca elettronica a risultare inficiata da questa concezione: l’utente cerca ciò che sa o presume che ci sia, non ciò di cui ignora l’esistenza e che potrebbe tornargli immensamente utile…” è pur vero che, in assenza di una “struttura, di autentico ecumenismo cognitivo” (ma è oggi pensabile UNA sifatta struttura?), non ci resta, e non è poco, che attrezzarci al meglio per creare isole e legami tra “alberghi bibliografici congrui”.

    Torniamo al quesito di Beppe: la soggettazione delle edizioni antiche può essere un legame? Che tipo di soggettazione, per che tipo di opere, può essere congrua? Come costruire alberghi e non ospizi (nessun disprezzo per gli stessi) bibliografici?

    La strada dei thesauri creati e controllati da esperti e/o cultori di specifiche epoche e materie, possibilmente in ambienti tecnologici “aperti”, potrebbe essere percorribile?

    Credo che il bibliotecario medio odierno, e la misura è assolutamente autoreferenziale, può far danni e forse già ne fa se non crea strumenti agili, solidi, ma aperti agli interventi esterni.

  17. Dopo il richiamo al “riportare la discussione su temi cari a Beppe e agli argomenti di questo blog”non posso continuare il mio regionamento come secondo me meriterebbe. In un blog fortunatamente aperto e poco formale, dove si invitano ad inetervenire anche gli utenti, persone non “esperte” di classi e soggetti, forse é facile uscire dall’argomento iniziale proposto nel titolo – pur parlando sempre di biblioteche – e farebbe forse comodo aprire una pagina piú ampia (improvviso un titolo: “Biblioteca: funzioni ed aspettative”) dove gli utenti possano proporre aspetti nuovi e “andare fuori tema” (ricordo ad esempio che é rimasta in sospeso un’ altra utente che avrebbe voluto approfondire lo “spoglio”…).
    Naturalmente non é una critica ma solo una proposta.

    Scusandomi ancora del “fuori tema” non posso non “rispondere”, nel mio piccolo, ad Alfredo Serrai, che ringrazio per l’intervento.

    Le definizioni dei vari “tipi” di biblioteche come le definiscono i manuali di biblioteconomia per me sono tutti inadeguati, perché partono implicitamente dal “tipo” tradizionale di domanda degli utenti per prescrivere ad ognuno di noi – non offrire a chiunque sia interessato – un particolare “tipo” di biblioteca: la nostra “gabbia culturale” a cui “dobbiamo” rivolgerci (e rinvio ai brani di Ridi, Montecchi, Vago, Crocetti, Guerrieri, Coen Pirani, Traniello citati nel mio Blog e, aggiungo, Solimine 2004).

    Per me le biblioteche sono o Pubbliche o private e nessun bibliotecario puó impedire ad un cittadino qualsiasi di accedere ad una biblioteca Pubblica (che agisce secondo norme di diritto pubblico). Ma se scrivessi di biblioteche pubbliche i bibliotecari non mi capirebbero!

    Una biblioteca che possiede prevalentemente fondi “storici” – e quanto é stato scritto successivamente su quel periodo storico – non deve certo “snaturare”, adeguare le collezioni al gusto di “chiunque” acquistando ad esempio Corsi di Office; ma se un utente “qualunque” vuole conoscere quei libri, é interessato alle collezioni possedute non gli si puó rispondere (come fanno i bibliotecari “conservatori” che si sono formati sui Manuali di biblioteconomia italiani):
    “lei chi é? é uno “studioso”?

    Per la biblioteconomia chiunque puó accedere liberamente solo alle biblioteche che definisce “pubbliche”, e queste “devono”possedere solo libri contemporanei: biblioteche intese come le ex biblioteche “popolari”, nate per affrontare il problema sociale dell’ analfabetismo.
    Tutte le altre biblioteche, come quelle dipendenti dal Ministero dei Beni Culturali, quelle dette “di conservazione”, o “speciali”, o di “ricerca”, ecc. sono mostruosamente definite “non-pubbliche”, o “riservate” (a certi “tipi” di cittadini, presunti piú “eruditi”o “colti”: come dimostra la “lettera di presentazione” che hanno in tasca!).

    Quando la biblioteconomia avrá rivisto le sue definizioni, forse anch’io potró abbandonare quella di Biblioteca (Pubblica) storica. Ma quel giorno mi semba davvero lontano, finché le biblioteche saranno ostaggio di questi “bibliotecari”.

  18. Mi capita sempre più spesso, sia quando parlo sia quando scrivo, di essere fraintesa. Devo, mi rendo conto, stare molto più attenta.
    Non intendevo infatti con “cari a questo blog”, mettere in riga nessuno, tantomeno il prof. Serrai, che anzi onora con il suo intervento il nostro blog ed è il benvenuto.
    Volevo semplicemente stimolare, proprio grazie alla presenza di un illustre studioso, una discussione sull’opportunità della soggettazione del libro antico.
    Sorry

  19. L’ultimo intervento di Dino, interessante come al solito, sarebeb forse più appropriato sotto il post sulla fruizione negata, ma in realtà anche in questa discussione sta entrando in gioco non solo la tecnica della soggettazione ma lo stesso ruolo delle “biblioteche storiche”.

    Da parte mia, ho sempre visto la soggettazione dei fondi antichi come uno degli elementi che determinano la pari fruibilità di questi fondi rispetto a quelli moderni, perché aiuta ad evitare che questi documenti vengano trovati solo da chi li conosce già.

    Mi pare che anche Serrai sia sulla stessa linea di pensiero.

    Osserverei però che su Internet non ci sono solo “abborracciamenti”, ma anche molte possibilità di trovare proprio ciò di cui non si sapeva in anticipo l’esistenza, anche se l’organizzazione della informazione è spesso grossolana e quindi le potenzialità del mezzo non vengono adeguatamente sfruttate (per fare un esempio comune: alcuni siti hanno degli interessanti elenchi di link anche a siti non facilmente individuabili attraverso i motori di ricerca, ma li organizzano talmente male che è difficile capire esttamente che cosa c’è).

  20. L’atteggiamento di Beppe è quello che si attenderebbe qualsiasi utente, ma – purtroppo – non è rappresentativo della realtà bibliotecaria prevalente e per questo darlo per scontato semplificherebbe troppo questi stimolanti interventi e non aiuterebbe ad approfondire l’argomento.

    Se si ricostruiscono le motivazioni e le teorie con cui nei Manuali di biblioteconomia la stragrande maggioranza degli autori italiani contemporanei (che in parte ho già richiamato) giustificano forme più o meno esplicite di “esclusione” degli utenti potenziali delle biblioteche “storiche” (intendendo tutte quelle che “conservano” prevalentemente fondi storici il cui compito però non è affatto la mera “conservazione” bensì la “tutela” del bene culturale Libro finalizzata alla più estesa promozione, valorizzazione e pubblica fruizione del libro tra gli utenti in carne ed ossa di oggi), si potrà notare che in quel contesto i ‘post’ Fruizione negata e Soggettare i libri antichi sono intimamente legati.

    Una nuova autorevole citazione è più chiara di quanto potrei scrivere io stesso:

    “(p. 184) M. Coyaud… [1966]… definisce i linguaggi documentari come “un sistema di segni che permette all’utente di un centro di documentazione (o di una biblioteca) di comunicare con un documentalista (o un bibliotecario) al fine di ottenere dei documenti (scritti o no), o dei riferimenti a questi documenti”…
    (p. 191) Per evadere dalle angustie di un rapporto semantico impostato esclusivamente nel rapporto linguaggio-realtà, si può dare maggiore evidenza al ruolo dell’interprete…
    (p. 194 – 195) L’uso dei linguaggi documentari presuppone da parte dell’utente la piena dimestichezza con gli schemi concettuali e con le strutture semantiche sulle quali si è orientato l’indicizzatore; esclusivamente sulla guida di mappe di riferimento, presunte o intuite, ma comuni agli interpreti che si affacciano sulle due sponde del sistema di indicizzazione, riuscirà l’incontro dell’utente con il deposito documentario. Gli indici o agiscono come accessi rigidamente semiotici (esempio, i cataloghi per autori), oppure non potendo che continuare a presentarsi come semiotici richiedono, per stabilire il contatto e trasmettere i significati, una preliminare sintonia semantica…
    L’esercizio intellettuale richiesto dai sistemi di indicizzazione non è codificabile e non è omologabile, perché non esiste la possibilità di effettuale classificazioni uniche o permanenti, e manca quindi la possibilità di avere dei termini che definiscano assolutamente tali classificazioni…
    I salti semantici … che stanno al fondo del funzionamento degli indici semantici possono giovarsi solo di indicazioni di sussidio e di accompagnamento, per chi conosca già i punti salienti del passaggio e abbia ben chiaro il tragitto che intende percorrere e la mèta che aspira a raggiungere.”

    (A. Serrai, Sistemi bibliotecari e meccanismi catalografici, Bulzoni, 1980).

    Sembra che oggettivamente – ci avverte la Biblioteconomia – esista una “difficoltà” tecnica ad avvicinarsi a cataloghi e – nel nostro caso specifico – soggettari dell’antico che potrà essere superata solo da chi ha una certa “cultura” della letteratura sull’antico.
    In questo brano, come in altri dello stesso autore, io registro un’impostazione descrittiva, un’analisi che evidenzia i punti critici che i bibliotecari “conservatori” si troveranno ad affrontare per rendere efficaci i cataloghi ed impedire, alla fine “un impoverimento del rapporto di conoscenza e di fruizione della letteratura … fra le memorie esogene della specie e le memorie esistenziali degli individui”.
    In brani di altri autori e nei regolamenti delle nostre biblioteche storiche (scritti da “bibliotecari conservatori”) l’impostazione diventa invece dogmaticamente prescrittiva, e l’essere “l’utente giusto” una condizione necessaria per avvicinarsi ad una “biblioteca di conservazione” che oltre ai fondi ha strumenti bibliografici “adatti” solo ai pochi che il “bibliotecario conservatore” avrà il dovere “professionale” di scegliere, per realizzare “professionalmente” la “conservazione” del libro e la più efficiente utilizzazione di quei cataloghi!

    E’ tutta questa impostazione dogmatica, a-scientifica e dottrinale della biblioteconomia italiana che va compresa e rigettata se si vuole che la “fruizione del libro” si affermi.

    In una biblioteca Pubblica, l’oggetto delle azioni di conservazione saranno i libri e non gli utenti; questi sono i beneficiari finali di quelle azioni, non gli esclusi. Allo stesso modo se una parte degli utenti dimostreranno difficoltà nell’utilizzare i cataloghi per rintracciare l’antico il bibliotecario Pubblico avrà il dovere di intervenire, non “cacciandoli” e “riorentandolo” in una biblioteca “più adatta”, ma assistendo, guidando e consigliando tutti gli utenti nell’uso di cataloghi, repertori, bibliografie specializzate, inventari, soggettari, ecc.
    La Biblioteca Pubblica deve essere un Servizio pubblico per tutti gli interessati, ma non solo. Di più. Se gli utenti effettivi dell’antico sono “pochi”, il bibliotecario non dovrebbe essere contento pensando che così i libri si “conserveranno” più a lungo per i posteri, ma dovrebbe porsi la domanda se non possa fare null’altro – a cominciare dalla riorganizzazione dei servizi e degli orari di apertura – per “valorizzare”, “promuore” far “scoprire” e leggere i libri che custodice ad una quota crescente di utenti della Biblioteca, oggi nemmeno considerati potenziali ma da respingere.

  21. Vorrei invitare a portare avanti questo ‘post’ parallelamente a quello della ‘fruizione negata?’, anche se è utile non sovrapporli: mi sembra interessante mantenere l’approccio “tecnico” che forse è comunque ricco di sviluppi più generali.

    Voglio dire che potrebbe essere promettente come punto di partenza l’ipotesi che (anche) il problema della “tecnica della soggettazione” da privilegiare, abbia un rapporto con la problematica dell’accesso al libro antico, in quanto entrambe sono coerenti ad una stessa idea di Biblioteca, o ad un medesimo “ruolo delle biblioteche storiche”, così come lo interpreta “l’indicizzatore”.

    Ad esempio è da questa impostazione – mi sembra – che qualche professore di biblioteconomia (che casualmente lavora in Toscana… e sicuramente ignora le nozioni base del diritto che necessariamente devono applicare le biblioteche Pubbliche italiane…) desume, dopo un’analisi in parte basata su fatti e problemi reali, che sia opportuno cacciare dalla biblioteca chi non sappia utilizzare i cataloghi:

    “La ricerca e lo studio qualificato si allontanano dalle biblioteche statali. Le iscrizioni alle università aumentavano in ragione della liberalizzazione, le biblioteche universitarie non erano (e non sono) attrezzate ad accogliere masse di studenti che ricorrono al prestito e chiedono spazi per la lettura. Questa industrializzazione dell’università di massa (in altre parole l’obbligo per le facoltà umanistiche di trovare materiali ‘originali’ per un numero sempre crescente di tesi di laurea) ha riversato sulla Nazionale un’altra alluvione: quella dei laureandi spesso impreparati per la complessità della ricerca bibliografica. Dove la Biblioteca Vaticana, subordina l’accesso ai giovani ricercatori al possesso di una lettera di presentazione di un professore e, nel modulo che si deve compilare per frequentare quelle sale, il lettore viene avvisato che in caso di evidente incapacità ad usare il catalogo a schede verrà espulso, mentre la BNCF deve accettare tutto e tutti!”

    (Bibelot, n. 1/2000, PUBBLICA LETTURA O CONSERVAZIONE?
    Carlo Maria Simonetti, Docente di Bibliografia e Biblioteconomia, Università di Firenze, in:
    http://www.aib.it/aib/sezioni/toscana/bibelot/0001/b0001f.htm ).

    Naturalmente io personalmente spererei di poter arrivare ad altre considerazioni e soluzioni – più “tecniche” che “sociologiche” – in grado di coinvolgere, di essere utili al maggior numero possibile di utenti potenziali, a prescindere dal loro livello di conoscenze bibliografiche acquisito prima del loro ingresso in biblioteca e del loro incontro con il Bibliotecario /mediatore tra libro e lettore.
    Ma non vorrei per questo eludere la problematica legata a come gestire il rapporto con l’interprete potenziale e mantengo per questo l’ipotesi (senza attribuirla a Serrai, che probabilmente non sono stato in grado di comprendere fino in fondo) che ho già espresso, in termini forse banali:

    Sembra che oggettivamente – ci avverte la Bibliografia – esista una “difficoltà” tecnica ad avvicinarsi a cataloghi e – nel nostro caso specifico – soggettari dell’antico che potrà essere superata solo da chi ha una certa “cultura” della letteratura sull’antico.

    Una soluzione diversa da quella che pare caldeggiare il professore di Bibliografia dell’università fiorentina potrebbe essere quella di affiancare una serie di strumenti per agevolare le ricerche anche degli utenti meno “esperti”, come mi suggerisce l’intervento di Oriana:
    “La strada dei thesauri creati e controllati da esperti e/o cultori di specifiche epoche e materie, possibilmente in ambienti tecnologici “aperti”, potrebbe essere percorribile?”

    Ma probabilmente anche restando nello specifico, tra i diversi modi di affrontare la soggettazione, si potranno riscontrare diverse “filosofie” o valutazioni verso i possibili potenziali utilizzatori dello strumento che si vuole predisporre (e, alla fine, verso i potenziali fruitori del libro).
    Ma qui io non posso fare nemmeno un esempio di soluzione tecnica che vada nell’una o nell’altra direzione. Se non sono completamente fuori strada mi sembra però utile portare a conferma della possibilità di una simile impostazione questo brano davvero “tecnico” (che cioè non ho ben compreso e che magari capirò meglio col progredire di questo ‘post’):

    “Una parte rilevante degli studi dedicati negli ultimi trent’anni all’elaborazione delle metodologie più adatte a rappresentare la conoscenza espressa nei libri, è stata indirizzata in particolare alla realizzazione di una prassi indicizzatoria che ha privilegiato gli aspetti relativi alla fase finale del processo d’indicizzazione, e precisamente all’organizzazione sintattica dei descrittori semantici. E’ stata riservata, invece, minore attenzione alle riflessioni teoriche intorno ai processi e alle attività intellettuali che sono coinvolti nella fase che precede quella dedicata all’organizzazione sintattica dei termini negli indici semantici, e cioè in quella, particolarmente complessa, che è rivolta appunto all’analisi dei contenuti dei libri ed alla scelta delle strategie di indicizzazione da adottare.
    … La scelta di coagulare la molteplicità degli aspetti di un argomento affrontati in un libro in un’unica stringa coestesa, della stessa estensione semantica dei contenuti del libro, articolata seguendo diverse procedure e modalità, seguiva una strategia d’indicizzazione che si può definire content-oriented, rivolta a fornire il preciso corrispettivo, in termini indicali, dei contenuti, ma che rischia di provocare una riduzione delle potenzialità di utilizzazione dei libri stessi.
    … Strategie differenti, che ricevono impulso dalla consapevolezza che il contenuto dei libri e dei documenti può acquistare significatività di volta in volta in modo diverso, in relazione ai diversi fruitori e ai diversi interpreti, possono invece contribuire in modo determinante ad ampliare le possibilità della ricerca scientifica proprio nel settore delle Scienze umane e sociali, sviluppando un modello di indicizzazione che può essere piuttosto considerato need-oriented, organizzato cioè sulla base delle necessità e delle possibili richieste dei ricercatori. Accade frequentemente, infatti, che del medesimo libro studiosi diversi colgano come predominante un aspetto diverso, e che ognuno focalizzi la propria attenzione su una porzione diversa di contenuto, su un aspetto particolare del tema trattato, considerandolo più significativo.”

    (M. T. Biagetti, Indici semantici e ricerca scientifica, in, L’ organizzazione del sapere. Studi in onore di Alfredo Serrai, a cura di M. T. Biagetti, Milano, Bonnard, 2004, pag. 15 e 16)

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