Vale ancora la pena usare la Dewey?

Mi chiedo sempre di più fino a che punto valga ancora la pena utilizzare la Classificazione Decimale Dewey.

Non che sia un sistema di indicizzazione che manca di pregi, anzi è un sistema raffinato, molto solido, gestito e aggiornato molto bene e anche relativamente semplice da imparare. Inoltre è molto conosciuto dal personale delle biblioteche, che per lo più continua a trovarlo valido soprattutto come supporto alla collocazione (qualcuno forse identifica ancora la Dewey con la collocazione).

Questi non sono aspetti da poco, ma ci sono anche gli aspetti negativi che potrebbero portare a concludere che il rapporto costi-benefici non è poi così favorevole.

Innanzitutto, il puro e semplice costo della pubblicazione è diventato preoccupante: la 12. edizione ridotta italiana un po’ di anni fa veniva venduta a 90.000 lire, mentre ora la 14. costa 140 euro. L’edizione originale inglese si trova su Amazon attorno ai 100 euro, che pure non è poco. Questa edizione poi, come strumento di indicizzazione, va bene solo per biblioteche generali piccole o medio-piccole (se si considera principalmente come strumento di collocazione l’uso può essere anche più ampio), negli altri casi bisognerebbe usare l’edizione integrale il cui costo è dell’ordine dei 600 euro.

Si tratta inoltre di un sistema proprietario, di cui detiene i diritti l’OCLC, e questo in tempi di licenze libere, open access e simili può avere il suo peso (e visto che l’OCLC è in USA può anche essere intepretato come una ulteriore espressione dell’imperialismo americano).

Ma soprattutto, quali sono i benefici per i servizi al pubblico? Come strumento di collocazione garantisce certo una disposizione sensata delle sezioni a scaffale aperto, ma ho l’impressione che il pubblico ne percepisca la struttura in modo molto vago e quindi la utilizzi ben poco per localizzare le pubblicazioni (forse se invece di 500 si scrivesse solo Scienza, invece di 510 solo Matematica e così via sarebbe la stessa cosa). Del resto, molte biblioteche la usano solo per alcune sezioni: ad esempio è pratica comune collocare la letteratura per ordine di autore, o le biografie per nome del biografato.

Come strumento di ricerca mi pare che la Dewey sia largamente sottoutilizzata, perché usare la notazione numerica per le ricerche è poco intuitivo anche il per il bibliotecario addestrato che, non potendo ricordare a memoria che un numero limitato di notazioni, dovrebbe continuamente ricorrere alle tavole per trovare la classe da ricerca.

Io stesso ho studiato molto la Dewey e la uso per classificare senza particolari difficoltà, ma molto raramente la uso per fare ricerche negli Opac, quindi figuriamoci cosa potrà fare il pubblico.

Per di più poi gli Opac la supportano in genere in modo molto limitato: permettono di fare ricerche per classe, o magari di vedere anche tutte le sottoclassi (a questo scopo basta il troncamento), ma non rappresentano la semantica della classificazione, per cui non si può – ad esempio – cercare tutte le classi a partire da 371.8 che usino la suddivisione comune -025, e quasi mai si può cercare un indice per soggetto alle classi.

Detto questo, mi piacerebbe che intervenissero non solo dei bibliotecari, ma anche dei lettori per dire qual è il loro rapporto con la Dewey: ne percepiscono l’esistenza? Se sì, la vedono come un aiuto, come una cosa neutra che se c’è va bene e se non c’è va bene lo stesso, o addirittura come un ostacolo.

E se la si abbandona, con che cosa la si può sostituire? Quali altri metodi di collocazione sarebbero appropriati? Quali desidererebbero i lettori? Una buona soggettazione potrebbe rendere nella pratica superflua la Dewey?

Music folksonomy

Mi ha colpito un post sul blog Flussocontinuo, un blog che si occupa prevalentemente di musica, dallo stimolante titolo Music folksonomy, nel quale si propone ai blogger che si occupano di musica di

ispettare, quando si parla di un artista, di un album o di un brano musicale, una struttura standard per i tag

ossia in ultima analisi di utilizzare un sistema di indicizzazione controllato (in questo caso quanto alla sintassi e non tanto quanto al vocabolario).

La cosa interessante è che la proposta non viene da qualche bibliotecario fissato con la catalogazione, ma da un blogger che ha constatato il rumore nella ricerca che provoca una indicizzazione completamente “anarchica”.

Non sarà che qualcuno ha posto aspettative esagerate nella indicizzazione libera e nei sistemi automatici di recupero e organizzazione dell’informazione?

Iniziativa di animazione del libro

La Valigia di Komagata

Corso di formazione per bibliotecari e insegnanti

Relatore Maurizio Loi

PROGRAMMA

La valigia Komagata contiene una raccolta di circa 30 libri, creati dal designer giapponese Katsumi Komagata “ per accompagnare lo sviluppo del bambino facilitandolo “.

Questi libri, passo dopo passo, prendono il lettore per mano e lo trasportano in un universo che da semplice si fa sempre più complesso.

Il corso propone di entrare nell’universo visivo e narrativo di Komagata ripercorrendo le vie che hanno portato alla costruzione materiale, cartotecnica, di alcuni di questi libri.

Leggere i libri di Komagata…facendoli, questo il filo conduttore del corso.

Preceduto da una panoramica di artisti, come Bruno Munari, Enzo Mari, Tana Hoban, Sophie Curtil che hanno preceduto, o accompagnato, l’opera di Komagata realizzando libri d’arte per bambini nell’ambito del design.

Sede del corso: Istituto Professionale di Stato per i servizi commerciali, turistici e della pubblicità “Luigi Einaudi”, Via La Marmora, 32 – La Spezia.

Il corso si articolerà in 4 incontri della durata di 2 ore ciascuno.

Calendario:

1. mercoledì 11 giugno

a) Introduzione – mattino dalle ore 10:00 alle ore 12:00

b) Laboratorio cartotecnico – pomeriggio dalle ore 13:30 alle ore 15:30

2. giovedì 12 giugno

a) proiezione video e laboratorio cartotecnico – mattino dalle ore 10:00 alle ore 12:00

b) laboratorio cartotecnico – pomeriggio dalle… dalle ore 13:30 alle ore 15:30